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[Pesticidi Etiopia] Bayer, Basf: Pesticidi obsoleti in Etiopia

Fab 2003

Una bomba ad orologeria

L‚Etiopia, come molti altri paesi africani, deve affrontare il problema del trattamento delle sostanze chimiche obsolete.

Secondo la Food and Drug Organization (FAO), l‘Etiopia figura fra i paesi africani dove il problema è più grave, con il Botswana, il Mali, il Marocco e la Tanzania.

L‚accumulo di pesticidi obsoleti in Etiopia è stimato in circa 3000 tonnellate, distribuite in più di 900 depositi, spesso costruzioni fatiscenti o cumuli disordinati e mal custoditi.

Nel villaggio di Arjo, nella zona occidentale del paese, il magazzino è rappresentato da una capanna in mezzo al villaggio. Al suo interno, abbandonate da diversi anni, sono conservate 5,5 tonnellate di vecchi pesticidi confezionati in bidoni ormai arrugginiti, scatole e sacchi malandati. Il contenuto fuoriesce dalle confezioni deteriorate penetrando nel terreno.

Nelle immediate vicinanze si trovano le abitazioni della popolazione, pascolano gli animali da cortile e giocano i bambini, tutti sottoposti ad un‘esposizione continua ai prodotti chimici. Non è chiaro quali prodotti siano accumulati nel deposito dato che non esiste un inventario dettagliato ma si pensa che vi siano molti fra i più comuni pesticidi: DDT, lindano, aldrin, dieldrin, endrin e heptachlor (tutti recentemente messi al bando dalla Convenzione di Stoccolma).

Ad Addis Abeba, la capitale, la situazione non è migliore. In una zona periferica molto trafficata e vicino al più grande silos di granaglie del paese si trova il principale magazzino di pesticidi obsoleti. Anche questo edificio è mal ridotto e i contenitori danneggiati lasciano fuoriuscire il loro contenuto che, mischiandosi, crea miscele ancora più tossiche delle sostanze originali.

A volte contenitori di pesticidi si vedono abbandonati direttamente sul terreno senza alcuna copertura e costellano il paesaggio agricolo del paese.

Le cause del problema sono molte e vanno dalla cattiva gestione della protezione delle colture e dell‚uso dei pesticidi in agricoltura, alle eccessive donazioni da parte di organizzazioni o a vendite indiscriminate da parte dei produttori e infine al bando di vecchi pesticidi considerati pericolosi.

In molti casi i pesticidi sono stati importati in previsione di infestazioni che non si sono poi verificate (ad esempio locuste o altro) o sono stati donati in quantità eccessiva o ancora sono stati donati e venduti prodotti non adatti. Tutti sono finiti inutilizzati in qualche magazzino.

In ogni caso i pesticidi hanno una scadenza di al massimo due anni dalla produzione e oltre questo periodo deteriorano e si decompongono in altre sostanze, a volte anche più tossiche, diventando inutilizzabili. Anche la cattiva conservazione o l‘errata manipolazione dei prodotti provoca il loro deterioramento e quindi li rende inutilizzabili.

I prodotti obsoleti che si trovano nei paesi in via di sviluppo provengono per la maggior parte da produttori europei, americani o giapponesi che fanno parte della Global Crop Protection Federation (GCPF, Federazione Mondiale per la Produzione delle Coltivazioni che raggruppa molte aziende come la Aventis CropScience, BASF, Bayer, Dow AgroSciences, DuPont, Monsanto) e le cause della loro obsolescenza sono quelle citate sopra.

Ma vi sono anche altri pesticidi che sono stati recentemente messi in commercio, i cosiddetti generici, cioè non brevettati, e prodotti da paesi come la Cina, l‚India e alcuni paesi dell‘America Latina, ma anche (e soprattutto) dai produttori che fanno parte della GCPF.

Questi pesticidi sono prodotti con macchinari e tecnologie vecchie (es. insetticidi organoclorurati o organofosforici) ma essendo più economici sono acquistati in gran quantità dai paesi in via di sviluppo. Si trovano sempre più frequentemente in quei magazzini di pesticidi obsoleti di cui i paesi in via di sviluppo sono costellati.

Per gestire, trasportare, smaltire le sostanze accumulate in tutti questi depositi serve una gran quantità di denaro che i paesi in via di sviluppo non possiedono, oltre a sofisticate tecniche di smaltimento che non provochino ulteriori contaminazioni di aria e acqua. Solo alcuni paesi sviluppati possiedono gli inceneritori ad alta temperatura necessari per il trattamento. Inoltre manca il personale addestrato per la manipolazione e il trasporto di questi prodotti chimici.

Secondo la FAO i costi di smaltimento vanno dai 3 ai 5 dollari per kg di prodotto, un totale di 1,25 miliardi di dollari per smaltire la quantità mondiale di antiparassitari obsoleti stimata in circa 250.000 tonnellate.

Per quel che riguarda l‚Etiopia, una società finlandese per il trattamento di rifiuti pericolosi, la Ekokem, ha già iniziato lo smaltimento di 1.500 tonnellate di sostanze che verranno trasportate in Finlandia per l‘incenerimento. L‚operazione terminerà nel giugno del 2002.

La FAO sta cercando di sensibilizzare i paesi europei per ottenere un aiuto finanziario per il trattamento delle altre 1500 tonnellate. La FAO ha inoltre chiesto alle case produttrici di ritirare i loro prodotti scaduti, ma la GCPF non ha accettato, pur dichiarandosi intenzionata a contribuire finanziariamente allo smaltimento.

Gli enti internazionali di assistenza e gli stessi paesi in via di sviluppo sono restii ad impiegare i soldi dei finanziamenti per lo smaltimento di questi rifiuti tossici piuttosto che per progetti di sviluppo economico, anche se lo sviluppo economico per avere successo e migliorare le condizioni di vita della popolazione in realtà deve prevedere l‘eliminazione del rischio di inquinamento e la compatibilità ambientale.

Finora i finanziamenti ricevuti dagli Stati Uniti, dalla Svezia e Olanda sono sufficienti a garantire lo smaltimento di quelle 1500 tonnellate già in via di trattamento, per la restante quantità non sono stati presi impegni precisi da parte di nessun governo di paese sviluppato. La FAO spera di poter sensibilizzare e coinvolgere anche il settore privato e le aziende oltre che i governi nella creazione delle risorse finanziarie per questa grande operazione di bonifica ambientale.

Ludovica Borio/International Centre for Pesticides and Health Risk Prevention