Drücke „Enter”, um zum Inhalt zu springen.

L’Espresso

L‚Espresso, 13 Aprile 2007

OGM? CHE FLOP

A dieci anni dal loro arrivo, i cibi modificati non sfondano: poche colture, per lo più per uso animale. E molti allarmi

C‘era chi temeva l‚invasione delle fragole-sogliole, e chi sognava il riso supernutriente. Chi inorridiva per il pomodoro con geni di scorpione, e chi si immaginava il grano che cresce nel deserto, magari innaffiato con acqua di mare. Si sbagliavano. Perché a dieci anni dall‘arrivo sul mercato degli organismi geneticamente modificati, della rivoluzione annunciata non c‚è traccia. Gli ogm in commercio sono pochi e in gran parte non nutrono gli esseri umani. Lo sostiene il più approfondito rapporto indipendente mai prodotto finora redatto da Friends of the Earth (Foe) che per la prima volta ha analizzato lo sviluppo mondiale degli ogm dal 1996 a oggi. Cento pagine e una bibliografia di quasi mezzo migliaio di articoli, da cui emerge un quadro decisamente negativo.
I campi di ogm coprono meno di cento di milioni di ettari, circa il 2 per cento delle superfici agricole disponibili. E quasi il 90 per cento dei campi si trova in soli quattro paesi: Argentina, Brasile, Canada e Usa, che coprono da soli il 53 per cento della produzione. Le specie coltivate, peraltro, sono solo quattro: cotone, soia, mais e colza. Che per lo più finiscono negli allevamenti animali o nell‘industria. E che sono state modificate solo per resistere a uno specifico erbicida (soprattutto il glifosato Roundup della Monsanto), o per difendersi da alcuni insetti con la tossina di un batterio (il Bacillus turingensis, da cui la sigla ‚bt‘ che caratterizza questi prodotti). Nessun ogm in commercio ha geni per migliorare le qualità nutritive, per crescere più velocemente o per resistere alla siccità, al gelo e alla salinità.

Si tratta di dati che, dunque, raccontano una storia ben più deludente di quella prospettata anni fa. Quando le possibilità di modificare una pianta sembravano infinte, e il pubblico dibatteva sui rischi e le opportunità della ‚fragliola‘ e degli altri cosiddetti cibi-Frankenstein.

Dove sono finiti? In alcuni casi, gli ogm hanno fallito per l‚ostilità dei mercati internazionali. La papaia, per esempio, era stata modificata per resistere a un parassita. Quando ne fu avviata la coltivazione alle Hawaii, il Giappone e l‘Europa bloccarono le importazioni, mandando in rovina i contadini hawaiani. Ma la diffidenza dei consumatori spiega solo una parte dei fallimenti. Usa e altri paesi, infatti, sono apertissimi agli ogm, e non hanno leggi sull‚etichettatura che permettano ai consumatori di scegliere.

Il problema, in realtà, è stato spesso di natura tecnica. Lo spiega in dettaglio la recente indagine condotta dalla organizzazione di scienziati Institute of science in society (Iss). A volte, i geni estranei causavano effetti collaterali più o meno gravi. È il caso del primo ogm messo in commercio, il pomodoro che non marciva mai. Gli statunitensi non lo hanno comprato perché totalmente privo di sapore. Ed è il caso del riso arricchito con geni di fagiolo: ne aumentavano il contenuto di ferro, ma purtroppo anche quello di arsenico. Altre volte, la modificazione si è dimostrata inutile. Nel 2004, ad esempio, negli Usa fu approvato un mais transgenico ad alto contenuto di lisina, aminoacido essenziale e carente nella dieta di molti paesi poveri. Ma le analisi della Fao dimostrarono che la lisina in pillole è assai più conveniente di quella prodotta con gli ogm. E in ogni caso, i metodi tradizionali di incrocio hanno già creato varietà di mais ricche di lisina, che chiunque può coltivare senza pagare brevetti. In molti altri casi, il gene trasferito non ha fatto un bel niente. Il famoso pomodoro con geni di pesce artico per resistere al gelo, ad esempio, non ha mai funzionato. Così come la cassava sperimentata in Nigeria e la patata dolce testata in Kenya. Entrambe dovevano resistere a malattie e aumentare la resa, ma avevano prestazioni anche peggiori delle altre. Ed è davvero lunga, la lista dei tentativi falliti di dare alle piante più vitamine, proteine, capacità di assorbimento dell‘azoto, e così via.

I geni, insomma, hanno dimostrato di non essere come i mattoncini del Lego: spostarli da un organismo all‚altro produce effetti che è difficile prevedere e controllare. Il che genera incertezze legate non solo alla sicurezza, ma anche ai ritorni economici. Nuove tecnologie non transgeniche sembrano dare garanzie maggiori. Con la ‘selezione assistita da marcatori‚, per esempio, è possibile individuare, in una specie, le piante portatrici di geni per caratteristiche desiderabili, e poi incrociarle fra loro in modo naturale. In altre parole, è possibile accelerare e potenziare quanto gli allevatori hanno fatto per millenni. Con questa tecnica la Monsanto ha creato una nuova soia a basso contenuto di acido linoleico, con sapore e qualità migliori e priva di effetti collaterali. „Le vie metaboliche per la sintesi di vitamine nelle piante alimentari sono ormai ben conosciute“, spiegano gli scienziati dell‘Iss: „Queste conoscenze possono essere impiegate nella selezione assistita, per aumentare la produzione di vitamine in modo assai più conveniente che con la modificazione genetica“. Fermo restando che una dieta ben bilanciata rende superfluo qualsiasi ogm.

Secondo Friends of the earth, gli inventori di cibo biotech sono a corto di idee, e stanno spostando il loro interesse verso produzioni di altro tipo. In realtà, l‚indagine dell‘Iss menziona diversi fanta-alimenti in via di sperimentazione (vedi box qui sotto). Ma ovviamente si dovrà vedere se arriveranno mai sul mercato. Per ora, la maggior parte degli ogm venduti e di quelli in attesa di approvazione non è destinato a sfamare gli esseri umani. L‚83 per cento del mais e il 98 per cento della soia diventano cibo per animali, la colza ha un impiego principalmente industriale, e con il cotone si fanno vestiti.

Vantaggi per i consumatori, dunque, non se ne vedono. eppure ancora si sostiene che questi ogm solleveranno il mondo dalla fame. In che modo? La nuova tesi è che aiuteranno i contadini ad arricchirsi. Ma non grazie alla resa. Studi di Fao, Usda e altri dimostrano che la produttività dei campi di ogm è pari o inferiore a quella dei campi tradizionali, nella maggior parte dei paesi e delle annate. Il vantaggio arriverebbe semmai dalla più economica gestione delle coltivazioni. Le piante che resistono gli erbicidi possono essere irrorate più intensamente e un numero minore di volte, riducendo il costo della manodopera. E le piante ‘bt‚ fanno risparmiare su alcuni insetticidi. Un rapporto del 2002 della United nations economic commission for Africa ipotizza un vantaggio aggiuntivo: la presenza di coltivazioni transgeniche alza il prezzo locale di alcuni pesticidi e abbassa il costo degli altri, consentendo anche ai coltivatori tradizionali di risparmiare e arricchirsi. Comunque, sono scenari assai meno suggestivi e ambiziosi di quelli ipotizzati anni fa. Inoltre, non è chiaro quanto gli agricoltori se ne possano avvantaggiare. I risparmi gestionali favoriscono innanzitutto i grandi latifondisti. E questo potrebbe soffocare ulteriormente le piccole aziende.

Secondo le industrie, gli ogm sarebbero in rapida diffusione nei paesi in via di sviluppo. In Cina e in India, in particolare, i campi di cotone bt sarebbero aumentati del 20 per cento in un anno. Ma Foe sostiene che si tratta di un successo apparente ed effimero. L‘India è colpita da una crisi del settore. Dovuta a una congiuntura di fattori climatici e di mercato che gli ogm non hanno risolto e forse hanno aggravato. Il Paese ha subito una ondata di suicidi e di manifestazioni di contadini, che hanno assalito i depositi della Monsanto e protestano per l‚eccessivo prezzo delle sementi biotech. Anche in Cina è crisi, perché il cotone gm viene attaccato da nuovi insetti e obbliga i contadini ad aumentare l‘uso di pesticidi. Problemi simili a quelli cinesi si osservano anche negli Usa e in Argentina, dove sono comparsi insetti resistenti alle piante bt ed erbacce immuni al glifosato. Se nei paesi in via di sviluppo aumentano le coltivazioni, sostiene Foe, è solo grazie alla intensa e non sempre trasparente promozione delle industrie. Che impongono i loro prodotti su mercati privi di tutela.

Il mercato è in mano a cinque grandi nomi: Monsanto, Syngenta, Aventis, Du-Pont e Astra-Zeneca. Che combattono la loro guerra commerciale con raffinatissime strategie di mercato. E il monopolio è destinato ad accrescersi. La Monsanto, i cui brevetti coprono il 90 per cento degli ogm venduti nel mondo, sta comprando molti tra i maggiori produttori e distributori di sementi. Di recente ha inglobato Seminis e Stoneville, e avrebbe intenzione di inglobare anche Delta Pine, accrescendo il suo potere sulle scelte dei coltivatori. Tanto che un pronunciamento dell‚American Antitrust Institute rileva il rischio che questa acquisizione dia luogo a una „riduzione ulteriore delle scelte disponibili per i coltivatori di cotone“ e porti „l‘eliminazione dei semi di cotone non gm“.
In molte regioni degli Usa, è già oggi impossibile trovare semi naturali di buona qualità, e gli agricoltori sono costretti a comprare quelli transgenici. Che possono costare più del triplo, e devono essere ricomprati ogni anno. n

L‚Europa dice no
Ancora una volta, l‘Europa si dimostra un baluardo dell‚agricoltura tradizionale. Lo scorso 29 marzo, il parlamento europeo ha respinto la proposta di introdurre una soglia di tolleranza dello 0,9 per cento per la presenza di ogm nei prodotti da agricoltura biologica. La soglia approvata dal parlamento è uno strettissimo 0,1 per cento, e accettabile solo per contaminazioni accidentali. „Il voto europeo rispecchia la sensibilità dei cittadini europei che non vogliono gli ogm nei campi e nel cibo“, ha dichiarato il presidente dell‘Associazione italiana agricoltura biologica, Andrea Ferrante.

Dopo avere impedito, dal 1998 al 2003, l‚ingresso di nuovi ogm sul mercato, la Ue si è data un nuovo regolamento. Consente la coltivazione e il commercio delle piante approvate dalla European food safety authority, purché i prodotti siano etichettati e tracciabili lungo la filiera. In totale, gli ogm consentiti in Europa sono 51, e altri 30 sono in lista di attesa. Sono tutti modificati per resistere a erbici o a insetti, con alcune eccezioni: cinque garofani con colore alterato, due patate arrichite di amido a scopo industriale, un mais arrichito di lisina e destinato agli animali, e un mais modificato per produrre etanolo. Gli Stati membri godono però di una certa autonomia decisionale: il consiglio europeo ha finora difeso il diritto alla auto-determinazione di ogni nazione, sancito dal Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza.

Quei semi sono un pericolo
Aumentano le preoccupazioni sui rischi per la salute legati agli ogm. Alle rassicurazioni delle industrie si contrappone un cumulo crescente di studi indipendenti e sempre più allarmanti. Recente oggetto di contesa è il mais bt Mon 863, che la European food safety authority ha approvato per il commercio europeo lo scorso anno, in base ai dati tossicologici forniti dalla Monsanto. Una revisione di questi dati, pubblicata su ‘Archives of environmental contamination and toxicology‚, avrebbe riscontrato diversi errori e omissioni. Le cavie nutrite con il mais gm avrebbero dato segni di intossicazione e di alterazione ormonale, che sarebbero passati inosservati a causa delle inadeguate statistiche impiegate dai tecnici Monsanto. La European Food Safe Authority (Efsa) riesaminerà nelle prossime settimane tutti i dati.

Le preoccupazioni ci sono anche perché spesso gli ogm sembrano destinati a giungere sulle tavole di tutto il mondo, mescolandosi agli alimenti convenzionali. Dopo il mais bt10 della Syngenta, unitosi per sbaglio ai mangimi europei, e il riso LL 601 della Bayer, che lo scorso settembre ha inquinato le filiere di tutto il mondo, in questi giorni gli Usa riportano un nuovo caso di contaminazione. Un riso gm sperimentale si è mescolato al riso Clearfield della Basf, un ogm approvato solo negli Usa e la cui coltivazione è stata immediatamente bloccata.

Ai timori per gli effetti delle piante gm, si aggiungono quelli per i loro pesticidi. L‘erbicida Roundup, per esempio, secondo la Monsanto, può essere spruzzato in quantità molto superiori a quelle standard, perché il suo principio attivo, il glifosato, sarebbe tossico solo per i vegetali. Ma l‚innocuità del glifosato è messa in dubbio da molte ricerche. E in ogni caso, il Roundup sarebbe più pericoloso del suo principio attivo, a causa degli additivi che ne facilitano la penetrazione nelle cellule. Molti studi dimostrerebbero un effetto tossico e cancerogeno sugli animali, sia in laboratorio che in natura. E nei coltivatori esposti alla sostanza si è osservata una frequenza doppia di aborti spontanei. Nel 2005, uno studio pubblicato su ‘Environmental health perspectives‘ ha mostrato che dosi bassissime di glifosato interferiscono con i processi ormonali e sono tossiche per le cellule della placenta.